+ Dal Vangelo secondo Matteo
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa "Dio con noi".
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Riflessione
Nel racconto di Matteo campeggia la figura
di Giuseppe come autentico "giusto", cioè vero servo di Dio, umile,
obbediente e disponibile agli oscuri ma sempre benevoli disegni di Dio.
Egli è l'uomo giusto anche perché crede alle promesse di Dio nel momento
in cui queste risultano strane e improbabili e, comunque, scomode. La
vicenda di Giuseppe è esemplare per noi, perché Giuseppe è un vero
figlio di Abramo, padre dei credenti.
Il falegname di Nazareth è grande
perché davvero grande è la sua fede. Per questo uomo umile, disponibile e
fedele. Credere è lasciar fare a Dio. Credere è "consegnarsi a Dio
totalmente e liberamente" (Dei Verbum, 5), senza condizioni e senza
riserve, senza ritardi e senza rimpianti, senza ricatti e senza
sospetti.
Un secondo messaggio dello sposo di Maria riguarda la
concezione della vita come mistero, come vocazione: la vita è una
"missione speciale".
Questa concezione parte dalla domanda fondamentale, che
non è: "Perché, Signore non fai quello che voglio io?, ma, al contrario:
"Che vuoi, Signore, che io faccia?" È la domanda di Saulo di Tarso, di
Agostino di Ippona, di Francesco di Assisi, di Teresa di Calcutta. La
risposta a questa domanda si ottiene se ci si "disarma" davanti a Dio e
si rinuncia a voler realizzare i propri sogni di autoaffermazione, a
soddisfare i propri bisogni di una sistemazione appagante, e si cerca
sinceramente di discernere i disegni di Dio sulla propria vita. La
vita - ci ricorda Giuseppe - è chiamata, è vocazione, non autovocazione;
è missione, non auto destinazione.
Il terzo insegnamento di Giuseppe
riguarda la sua condizione di vita: non è uno scriba addottorato sulla
santa legge di Dio, né un sacerdote del tempio come Zaccaria; è un
lavoratore, è precisamente un modesto falegname.
La chiamata di Dio
gli cambia la vita, non il lavoro. Ma Giuseppe ormai lavorerà per far
vivere Gesù e la madre di Dio. "Insegnerà al Figlio di Dio come muovere i
primi passi di bambino e Lo proteggerà dagli artigli di Erode, e lo
accarezzerà con le sue ruvide mani di operaio, mani incallite dal
lavoro" (san Giovanni Paolo II).
Comprendiamo perché in quest'ultimo
tratto della strada che ci sta portando a Betlemme, la Chiesa ci affidi
alla guida discreta e alla fedele, cordiale compagnia di Giuseppe di
Nazareth. Come lui, anche noi siamo chiamati a entrare nel mistero di
Dio, mettendoci totalmente al servizio del suo disegno.
Azione
Voglio fare attenzione a seguire la
volontà di Dio come mi viene espressa dalle circostanze che accadono e
dalle indicazioni delle persone che hanno autorità nella Chiesa per la
mia vita.
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