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apr 16 2011
Domenica delle Palme PDF Stampa E-mail
Scritto da Angela Fariello   
sabato 16 aprile 2011
«Versato per molti»
palmeb-w.jpg

La festa del passaggio si annuncia.
Pessah, Pasqua,
Gesù prepara, in coscienza,
il suo ultimo passaggio.

Gli anziani profetizzano.
La situazione si va delineando.
Gesù entra a Gerusalemme
sul dorso di un'asina.
Questo segno sarà compreso?

Chi è quest'uomo?
L'occhio non può percepire,
l'orecchio non può ascoltare,
il cervello non può comprendere...
Solo un'attenta disposizione
può ricevere il messaggio
e assimilarlo nel segreto dell'essere.

Festa quel giorno
i rami degli alberi
allungano le braccia delle folla
per salutare il passaggio
di quest'uomo
del Figlio dell'uomo.
ANNUNCIARE


Gesù prima di morire in croce e di lasciare la terra dopo la sua risurrezione, volle continuare la sua presenza nel mondo con l'istituzione dell'ultima cena. La Chiesa, voluta da Cristo, ha compreso il valore di quel momento e ha iniziato a riunirsi nel giorno del Signore per ascoltare la Parola e realizzare il comando di Cristo: «Fate questo in memoria di me». La "domenica delle palme" o "di passione" fa rivivere tutta la drammaticità del processo e della condanna a morte di Gesù. Prima che tutto questo si realizzi, Gesù si preoccupa di lasciare il segno reale della sua presenza. L'ultima cena è l'ultima Pasqua di Gesù, il banchetto in cui ci si nutre di lui, si fa memoria della sua passione, ci si inebria del suo Spirito e si riceve la garanzia della gloria futura. Se ogni religione prevede un sacrificio dell'uomo a Dio, il cristianesimo si fonda sul sacrificio di Dio all'uomo.
Gesù «prese il pane». Prendere è un gesto profondamente umano. Prendere il pane che nutre il corpo, è figura di ogni dono che l'uomo riceve. Nell'ultima cena Gesù prende il pane e il vino, non il frumento e l'uva, che sono frutti della terra; prende ciò che l'uomo, con la sua storia e la sua cultura, ha raccolto e lavorato.
Gesù «spezza» il pane per condividerlo. Il dono d'amore diventa capacità di donare, perchè uno ama se ha fatto propria l'esperiezna di essere amato. L'Eucarestia di cui ci nutriamo ogni domenica dovrebbe irradiare tanto amore da spezzare ogni odio, rancore e demolire tutti i muri ideologici e materiali che l'uomo costruisce.
L'Eucarestia è cibo necessario a tutti e in ogni celebrazione dovrebbero comunicarsi alla mensa eucaristica, in particolare quanti sono naufraghi nelle difficoltà della vita, proprio come suggerisce l'apostolo Paolo in At 27 ai suoi compagni di sventura:

«"Vi esorto a prendere cibo; è necessario per la vostra salvezza". E preso il pane, rese grazie davanti a tutti,
lo spezzò e cominciò a mangiare. Tutti si sentirono rianimati, e anch'essi presero cibo»
(vv. 34-36).

 

CELEBRARE

Celebrare l'Eucarestia è rendere grazie e lode a Dio Padre per il dono di Gesù suo Figlio. Rendere grazie è qualcosa di più che benedire.
Il termine «Eucarestia» contiene, infatti, oltre al termine
«bene», un'altra parola che significa «grazia», ossia bellezza, dono, favore, amore gratuito. Indica tutto quel complesso di atteggiamenti trasformanti che esprimono la gioia dell'amore, radice di ogni benedizione.
Nela celebrazione eucaristica ciascuno compie soltato ciò che compete, tenuto conto del posto occupato all'interno del popolo di Dio. Nei fedeli deve essere una chiara e viva consapevolezza circa la realtà del loro "sacerdozio santo" che nella preghiera eucaristica li chiama a essere offerenti e offerta.
La forma in cui l'assemblea adempie il suo sacerdozio regale è così articolata: ascolto rispettoso e attento, dialogo con chi presiede, canto delle acclamazioni, posizione del corpo vigile e orante. La partecipazione profonda non avviene se non passa attraverso tutta la persona e le relazioni tra le persone.
La lode e il rendimento di grazie circolano attraverso le parole, il silenzio, i gesti, lo spazio e il tempo della preghiera eucaristica.  

 

TESTIMONIARE

«La religione cattolica ci nutre sulla via della croce, sul cammino dell'imitazione di nostro Signore Gesù, con un cibo mirabile e divino che è nostro pane quotidiano e nostra "vita".
Questo cibo, questo vero "pane quotidiano", questa "vita" è la santa Eucarestia: Gesù stesso, Dio e uomo, che si consegna totalmente a noi, tal quale egli è ora in cielo, sotto l'apparenza di una piccola ostia. Nella santa comunione, Dio entra in noi corporalmente; noi tocchiamo con la nostra bocca il Corpo di nostro Signore Gesù così come lo toccarono le labbra di Maria, di Giuseppe, della Maddalena; entra in noi così come riposò nel seno di Maria; s'unisce a noi nel più casto dei matrimoni diventando lo Sposo divino delle nostre anime, donandosi, consegnandosi, abbandonandosi a noi, da possedeere e da amare, nel tempo e nell'eternità. L'Eucarestia è Gesù bambino che ci tende le braccia dalla sua mangiatoia per offrirci e per chiedere un bacio; è Gesù che diventa nostro Sposo e che si unisce a noi in un'unione infinitamente casta e infinitamente stretta, diventando una sola cosa con noi grazie a un miracolo di potenza e d'amore.
L'Eucarestia non è soltanto comunione, il bacio di Gesù, il matrimonio con Gesù: è anche il Tabernacolo e l'Ostensorio, Gesù presente sui nostri altari "per tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli", vero Emmanuele, vero "Dio con noi", che si presenta in ogni ora, in tutte le parti della terra, ai nostri sguardi, alla nostra adorazione e al nostro amore, e che trasforma con questa presenza perpetua la notte della nostra vita in un'illuminazione deliziosa.
Quanto la santa Eucarestia deve renderci teneri, buoni verso tutti gli uomini, è ugualmente chiaro: questa lingua che ha toccato Dio, dirà altre cose che parole degne della carità divina? E di qual rispetto la santa Eucarestia ci riempie verso gli altri cristiani? Quale venerazione non dobbiamo avere per tutti quelli che l'hanno ricevuta? Quale carità, quale religioso rispetto, quali cure premurose non dobbiamo avere per queste anime e questi corpi cristiani in cui Gesù è entrato?
L'Eucarestia è Dio con noi, Dio in noi. È Dio che si dà perennemente a noi, da amare, adorare, abbracciare, possedere. A lui gloria, lode, onore e benedizione nei secoli dei secoli!».

 

Charles de Foucauld

 

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