"Sapete ciò che vi ho fatto?". Sapete che il ripeterlo
tra voi è la condizione -l'unica!- di "prendere parte" con me? Vi ho onorato
come miei ospiti privilegiati; io Signore e Maestro, mi sono messo a servirvi. Io
non giudico la mia sposa, non voglio "sistemare" e mettere a posto: la onoro
(promesse matrimoniali) e la servo. La metto, più in alto di me, tanto la
contemplo e la amo anche se conosco bene la sua fragilità e la sua
inaffidabilità, insieme al suo desiderio di amarmi.
Fatelo anche voi sposi, servitevi gli uni gli altri,
onoratevi.
Quando lui rincasa la sera, tu moglie lavagli i piedi:
onoralo perché è giunto fino a te, guardalo negli occhi, spia con amore le
piccole ferite della sua giornata, i piedi che il "mondo gli ha impolverato" e
mettiti a servirlo. Mettilo sul trono di signore e non seppellirlo subito con
le tue lagne sui bambini che non ti hanno lasciato vivere o sulle telefonate di
sua madre, onoralo prima come tuo Signore.
E quando tu incontri lei dopo la vostra giornata di
lavoro, lavale i piedi, onorala come tua regina e non riempirla di lamentele
sul tuo capoufficio o sui tuoi colleghi di lavoro. Non guardare prima se c'è in
casa qualcosa che non va, se le cose non appaiono secondo i tuoi desideri e
magari la cena non è pronta. Non giudicarla, ma dedicati a lei come se fosse
sola nel tuo orizzonte, come se esistesse solo lei da coccolare e servire. Non la
servi puntando il dito su quello che non va, ma celebrando il vostro incontro,
pulito dalla polvere della strada, pulito da ciò che vi si è incrostato sopra e
che nessuno dei due voleva. È che avete camminato e vi siete infangati: ora non
vi resta che servirvi a vicenda: «Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli
altri».
Ma come servirvi da sposi? Attraverso il linguaggio
sponsale per eccellenza: per la strada della passione e risurrezione, "depose
le vesti" e poi "riprese le vesti". Deporre le vesti equivale a perdere la vita;
perderla non a parole e con le belle intenzioni ma perderla con un «vieni prima
tu» che è la dimensione della nuzialità. Perdere la vita come ha fatto Lui, non
trattenendo nulla per sé e volontariamente, liberamente (che non significa
spontaneamente e senza sforzo) e gratuitamente (senza aspettarsi nulla in
cambio, senza fare la "raccolta punti"). Deporre le vesti significa deporre i
propri giudizi e pregiudizi, i propri schemi, il proprio immaginario in cui
abbiamo fissato il nostro partner, la nostra coppia e vedere le cose dal punto
di vista dell'altro.
Questo dice Gesù: aver arte con me nel riprendere la
veste, nella mia risurrezione, è partecipare al mio essere servo per amore.
Perdonare e accettare il perdono è il vero, reciproco, "lavarsi
i piedi gli uni gli altri".
"Gesù pur essendo di natura divina non considerò un
tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la
condizione di servo e divenendo simile agli uomini; umiliò se stesso, assumendo
la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte di croce". È la via dell'espropriazione,
dell'uscire da sé per andare verso l'altro. È passare dal dire all'altro ciò
che deve fare per essere un bravo marito, una brava moglie, una brava suocera,
un bravo collega... al chiedere: "Cosa posso fare per te perché tu ti senta
amata/o?".
Nel vissuto quotidiano questo vuol dire che noi cristiani
siamo una parola annunciata; senza far prediche siamo Parola di Dio Amore,
siamo immagine di Dio Amore. Con la tenerezza che ho per il fratello, come gli
parlo, come l'ascolto, come l'accolgo, come lo perdono, come condivido con lui gioia e sofferenza sono
racconto di Dio Amore.
Sono così, racconto di Dio che concilia sempre, sono
racconto di Dio che è tenerezza, sono racconto di un Dio che si prende cura,
sono racconto di un Padre al quale non sfugge nessuna persona, affinchè nessuno
si perda. Abbiamo una parola che è leggibile da tutti. Ma noi siamo capaci di
dirla questa verità? Questa parola è il dirsi di Dio, di questa parola c'è
bisogno.
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