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Nuntio Vobis
feb
28
2017
Riflessioni
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Scritto da Redazione
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martedì 28 febbraio 2017 |
LA PAROLA ASCOLTATA
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 6,1-6.16-18)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c'è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un'aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
LA PAROLA MEDITATA
All'inizio del tempo di Quaresima, la liturgia della Parola ci invita a metterci in cammino verso la Pasqua con un brano collocato al centro del discorso della Montagna praticando la "nuova giustizia" nei rapporti tra l'uomo e Dio, attraverso le tre classiche espressioni della pietà giudaica: elemosina, preghiera e digiuno. Gesù non contesta queste azioni, ma la perdita del loro significato originario di ricerca personale di Dio. Questi comportamenti, graditi a Dio, appaiono come minacciati dalla ricerca di una propria giustizia, dalla vanagloria, dal rischio di cercare l'approvazione e la stima degli uomini.
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feb
24
2017
Papa Francesco
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Scritto da Angela Fariello
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venerdì 24 febbraio 2017 |
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE RANCESCO
PER LA QUARESIMA 2017
La Parola è un dono. L'altro è un dono
Cari fratelli e sorelle,
la Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» (Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell'amicizia con il Signore. Gesù è l'amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando pecchiamo, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con questa attesa, manifesta la sua volontà di perdono (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016 ).
La Quaresima è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l'elemosina. Alla base di tutto c'è la Parola di Dio, che in questo tempo siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità. In particolare, qui vorrei soffermarmi sulla parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19-31). Lasciamoci ispirare da questa pagina così significativa, che ci offre la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e la vita eterna, esortandoci ad una sincera conversione.
1. L'altro è un dono
La parabola comincia presentando i due personaggi principali, ma è il povero che viene descritto in maniera più dettagliata: egli si trova in una condizione disperata e non ha la forza di risollevarsi, giace alla porta del ricco e mangia le briciole che cadono dalla sua tavola, ha piaghe in tutto il corpo e i cani vengono a leccarle (cfr vv. 20-21). Il quadro dunque è cupo, e l'uomo degradato e umiliato.
La scena risulta ancora più drammatica se si considera che il povero si chiama Lazzaro: un nome carico di promesse, che alla lettera significa «Dio aiuta». Perciò questo personaggio non è anonimo, ha tratti ben precisi e si presenta come un individuo a cui associare una storia personale. Mentre per il ricco egli è come invisibile, per noi diventa noto e quasi familiare, diventa un volto; e, come tale, un dono, una ricchezza inestimabile, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016 ).
Lazzaro ci insegna che l'altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di aprire la porta del nostro cuore all'altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto. La Quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore. La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole. Ma per poter fare questo è necessario prendere sul serio anche quanto il Vangelo ci rivela a proposito dell'uomo ricco.
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gen
27
2017
Riflessioni
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Scritto da Redazione
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venerdì 27 gennaio 2017 |
di Sara Manzardo
Fonte: http://www.corxiii.org
Il verbo "zachar", che significa "fare memoria", ricorre nell'Antico Testamento 222 volte. Quella del popolo ebraico è una tradizione che insiste sul ricordo, di generazione in generazione. Intorno al 27 gennaio capita di rileggere almeno la poesia di Primo Levi che apre il libro Se questo è un uomo, e qui si capisce subito che la memoria è un obbligo: la testimonianza dell'orrore del campo diventa per il sopravvissuto l'unico mezzo per non soccombere, un impulso immediato che viene subito dopo il ritorno a casa, subito dopo il bisogno di mangiare.
Quello che mi colpisce delle opere di Primo Levi è l'umanità variegata che viene descritta, una gamma di persone che procede dalla muta rassegnazione e sconfitta perché ogni recupero è ritenuto ormai impossibile, fino all'ostinata determinazione di quelli che vanno avanti e non si arrendono. E ancora, quelli che vengono eliminati da un progetto diabolico di annientamento psicofisico, e quelli che come Levi vedono l'alba del 27 gennaio e prendono la strada verso casa.
Ci sono i "sommersi" e ci sono i "salvati". Questo secondo la nostra logica umana. La logica dei fatti storici.
Ma Levi, da "salvato", vive la "tragedia" della memoria. Il veleno di Auschwitz porta incubi, Levi sognerà tutta la vita di essere ancora nel Lager che, scrive in un commento, è "dilatato a una spiegazione universale, diventa simbolo della condizione umana stessa e si identifica con la morte". Sempre sentirà rimbombare nella sua testa il comando del risveglio, "Wstawac!", una voce che "comanda la morte, ed è sommessa perché la morte è iscritta nella vita, è implicita nel destino umano, inevitabile".
Un ricordo così potente che lo porterà al suicidio. Da salvato, a sommerso.
Forse non è la memoria che ci salva.
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gen
25
2017
Annunci Parrocchiali
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Scritto da Angela Fariello
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mercoledì 25 gennaio 2017 |
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