In questa nostra società moderna, ricca e
secolarizzata che fa della vita e del
successo ciò a cui l'uomo deve continuamente aspirare, si contrappone
ciò che nega tutto questo: la morte.
La fatica di comprenderla e di guardarla
in faccia porta spesso ad emarginarla dal nostro vissuto, dai nostri discorsi,
dalla nostra vita, quasi non esistesse. Diventa allora quest'opera di
misericordia particolarmente significativa, un po' per tutti: per familiari,
amici, volontari, medici, infermieri, attraverso un servizio di compagnia e di
fraternità per una più alta umanizzazione del morire stesso; per noi cristiani,
in particolare, che attingiamo nella nostra fede e nelle nostre tradizioni le
energie per essere presenti a questo notturno, umile, luogo del mistero
dell'uomo.
Se si vuole "umanizzare" la morte, se si vuole restituire
il morire alla vita dell'uomo, occorre prepararsi ed allenarsi ad incontrarla,
a viverla e non certo a subirla.
In questo mese abbiamo ricordato i nostri morti,
insieme siamo andati a pregare al cimitero. Dal Paradiso, la comunità dei santi
ci suggerisce questa preghiera, inno alla vita e alla speranza:
Io credo, Signore,
Che al termine del cammino
Non c'è ancora da camminare
Ma la meta del pellegrinaggio.
Credo, Signore,
Che alla fine della notte
Non c'è più notte
Ma l'aurora.
Credo, Signore,
Che alla fine dell'inverno
Non c'è più inverno
Ma la primavera.
Credo, Signore,
Che dopo la disperazione
Non c'è ancora disperazione
Ma la speranza.
Credo, Signore,
Che al termine dell'attesa
Non c'è ancora attesa
Ma l'incontro.
Credo, Signore,
Che dopo la morte
Non c'è ancora morte
Ma la vita.
(J.Follet)
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