Anche «.god» tra i
nuovi domìni di Internet? Ai suffissi nazionali (come «.it») e tematici
(«.com») si stanno per aggiungere sigle che corrispondono a settori
merceologici (si pensa a «.music»), interessi personali, politici o
culturali (da «.sport» «.eco», ma si attende anche l'introduzione di
«.love») fino alle aziende, ciascuna col proprio nome. Pagando 185 mila
dollari all'Icann si potrebbe registrare pressoché qualunque dominio.
Tanto che è riaffiorata la proposta - circolata tempo fa, con qualche
incipiente polemica - di aggiungere ai nuovi domìni del Web anche un
indistinto recinto religioso sotto la precaria tettoia della sigla
«.god», ovviamente con la minuscola, come si addice a tutti gli
indirizzi Internet.
Quanti ne mettiamo a
disposizione? Un miliardo basterà? Stiamo larghi: 4 miliardi e 300
milioni di indirizzi. Saranno sufficienti...». E invece è andata
proprio come i "signori di Internet" nemmeno potevano immaginare quando
trent'anni fa gettarono le prime fondamenta della rete digitale che
oggi impacchetta il pianeta in un flusso inesausto di bit. L'impetuosa
crescita della fame di comunicazione ha reso non più sufficiente
persino quell'immensa somma di codici identificativi dei computer
allacciati al Web - i miliardi di indirizzi "IP" -, progressivamente
cresciuta fino a una cifra che ora segna anche il virtuale limite di
"capienza" di Internet.
La mole degli allacciamenti alla rete
sta portando all'esaurimento delle scorte di recapiti. Ma non c'è
motivo di alimentare catastrofismi: non siamo vicini a quello che in
America è stato definito il giorno dell'«Apocal-IPs», giocando sulla
sigla dell'«Internet Protocol». L'ente non profit che dirige il
traffico sulla rete - l'Icann - ha già predisposto l'adeguata
contromisura: in tre decenni la tecnologia ha saltato di slancio tutti
gli ostacoli creati dal suo stesso sviluppo, e ora si accinge a
consentire l'immissione sul mercato di un numero ancor più prodigioso
di indirizzi, grazie alla compressione digitale con la quale è
possibile ampliare all'infinito lo spazio sul Web (salvo restare
intrappolati nell'imbuto dei cavi di connessione, ormai intasati). Si
crea spazio per chiunque voglia accedere, connettersi, farsi conoscere,
contribuire all'intelligenza distribuita online.
Chi
bussa per ottenere un recapito non chiede infatti di assistere a uno
spettacolo allestito da altri: vuole dire la sua, montare la propria
bancarella di idee e contenuti, all'affannosa ricerca di qualcuno
interessato ad alimentarsene. Per effetto di questa formidabile e
crescente domanda di condivisione - che ha dato origine alla tumultuosa
stagione del "Web sociale", ben lungi dall'esaurirsi - la rete ha
esteso e ramificato le aree di interesse imponendo una seconda svolta
ormai prossima: specularmente alla crescita di codici IP, a breve le
autorità regolatorie di Internet dovrebbero infatti offrire la
disponibilità di un numero potenzialmente indefinito di "domìni",
ovvero le estensioni che integrano e classificano gli indirizzi dei
siti Web.
Ai suffissi nazionali (come «.it») e tematici
(«.com») si stanno per aggiungere sigle che corrispondono a settori
merceologici (si pensa a «.music»), interessi personali, politici o
culturali (da «.sport» «.eco», ma si attende anche l'introduzione di
«.love») fino alle aziende, ciascuna col proprio nome. Pagando 185 mila
dollari all'Icann si potrebbe registrare pressoché qualunque dominio.
Tanto che è riaffiorata la proposta - circolata tempo fa, con qualche
incipiente polemica - di aggiungere ai nuovi domìni del Web anche un
indistinto recinto religioso sotto la precaria tettoia della sigla
«.god», ovviamente con la minuscola, come si addice a tutti gli
indirizzi Internet.
Questa divinità digitale in coda a un
recapito elettronico dovrebbe garantire il contenuto religioso del
sito, selezionando il pubblico dei fruitori e concentrando una ricerca
che si fa sempre più faticosa negli abissi della rete. Ma nessuna
autorità del Web oggi è in grado di assicurare che al «.god» faccia
riscontro quel che la confezione promette: lo spirito iper-relativista
di Internet scoraggia alla radice il principio di autorità, nega quasi
ogni forma di selezione dei contenuti, inorridisce davanti a qualsiasi
remoto sentore di "censura". Il Dio del Web promette di essere quel che
sta già scritto: una caricatura minuscola. È proprio necessario?
Francesco Ognibene
© Avvenire, 9 febbraio 2011
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