Riflessioni sull'amore crisitano |
Scritto da Caritas Parrocchiale | |
lunedì 15 dicembre 2008 | |
La tradizione cristiana denomina opere di misericordia
alcuni gesti e azioni concrete che il cristiano è invitato a compiere a favore
del prossimo nel bisogno. La formulazione è quasi infantile, da vecchio
catechismo polveroso. E tra le opere, a livello popolare, erano notissime
soprattutto quelle "corporali" , un po' meno quelle "spirituali". In particolare
proprio quelle spirituali, poiché alle povertà di carattere economico si sono
aggiunte quelle immateriali, attinenti alla situazione relazionale e spirituale
delle persone: chi ha perso il senso della vita, chi si sente solo e smarrito,
chi vive nel dubbio e nell'incertezza, chi è afflitto da frantumazione morale,
chi ha abbruttito la sua dignità...
L'appeal delle opere è, ormai, così scarso che neppure
nelle prediche tradizionalistiche vi si ricorre più. Tutti utilizzano termini
via via di moda: condivisione, solidarietà... Ma le opere, nella loro geometria
semplificatoria e non sfiorata dal dubbio (qui il corpo, là l'anima; qui i bisogni
materiali, là quelli spirituali, tutto compreso nei magici e mnemonici "sette
più sette), rappresentano davvero, con sconcertante puntualità, l'elenco delle
necessità umane fondamentali di sempre. Solo la quattordicesima opera ("pregare
Dio per i vivi e per i morti") sottintende una fede religiosa. Tutte le altre
indicano un atteggiamento etico realistico: di fronte alle componenti brutte
dell'esistenza umana, bisogna sporcarsi le mani.
Per ogni realtà scomoda, un gesto preciso da compiere: non una conferenza da tenere, o parole (come queste) da scrivere. Ma opere, cioè azioni concrete, in risposta a bisogni concreti, misurate su di essi, così come vengono colti nell'immediatezza dei rapporti quotidiani. Sono gesti e azioni di bontà che rendono diversa la vita riscattandola dal male dell'indifferenza, dell'egoismo, della chiusura in sé. Immettendovi quei germi di bene che lo Spirito Santo suscita nell'animo umano, soprattutto a contatto con la sofferenza. Le opere di misericordia corporale e spirituale recitano: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, visitare i carcerati, ecc. E ancora: consigliare i dubbiosi, ammaestrare gli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese... Di fronte a un corpo ed a una vita che soffre, qualunque sia la ragione, se amo vivere devo fare qualcosa, perché quel corpo funziona come il mio, quella vita vale quanto la mia, e star male non piace a nessuno. Al mio cuore ed alla mia intelligenza la capacità di giudizio per scegliere come. Le testimonianze, in ogni tempo e luogo, di persone che hanno risposto a questi appelli indicano più o meno lo stesso percorso: l'urto emotivo di un incontro personale, il soccorso immediato, la percezione che tantissimi altri sono nella stessa situazione, l'impegno a realizzare un progetto strutturato e vasto, lo scoraggiamento di fronte ad ogni sorta di ostacoli, la consapevolezza che è "una goccia nel mare", il tradimento dell'ispirazione genuina della propria opera da parte di chi la prosegue. Fino a che qualcuno, in un altro tempo e in un altro luogo, ricomincia. Il percorso sembra perciò andare dall'individuale al sociale, al politico. A volte si fa a nome di Dio, a volte Dio lo si trova in fondo. Ma nell'arco tra l'inizio e la fine molta gente è stata meglio, molte situazioni sono state risolte. Chiunque sta dentro queste situazioni , prestando cuore ed orecchie, sa quanto faticoso sia l'ascolto dei fatti altrui, quanto difficile dare un consiglio, un sostegno, un accompagnamento onesto. È esperienza comune che molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine. E che, a volte, è sufficiente alleggerirsi di una preoccupazione, parlandone con un'altra persona, per proseguire rinfrancati. Le occasioni quotidiane per esercitare queste opere sono innumerevoli. Il segreto è forse perdere l'abitudine al discorso futile, per andare alla radice del bisogno di comunicazione. E, venire incontro alla sete di parole e di azioni vere. Esse hanno in vantaggio di essere accessibili ai cristiani e agli uomini e alle donne di buona volontà di ogni condizione, non esclusi i poveri, e di privilegiare il rapporto interpersonale. La pratica delle opere di misericordia non giova soltanto a coloro che ne sono i destinatari. Essa promuove più di quanto non si pensi una nuova qualità della vita ed il rinnovamento della società dal di dentro. La "carità verso il prossimo, nelle forme antiche e sempre nuove delle opere di misericordia corporale e spirituale, rappresenta il contenuto più immediato, comune e abituale di quella animazione cristiana dell'ordine temporale che costituisce l'impegno specifico dei fedeli laici" (Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 1988). Esse hanno dunque un rilievo particolare anche oggi. La "cattedra degli ultimi" deve provocare ogni uomo e ogni donna ad accoglierne le urgenze e gli appelli ineludibili e a tradurre la veridicità del credere, cosicchè la stessa cattedra, se inascoltata, non si traduca, alla fine, in tribunale (Mt, 25). Tradurre pastoralmente le opere di misericordia può sembrare un esercizio di poco conto. Ma non si tratta di una semplice "ritinteggiatura", anche ben fatta, ma di appoggiare su basi sicure il "ritorno dall'esilio" di ogni opera spirituale e materiale. L'esilio da cui debbono uscire è duplice: da un lato deve essere l'intera comunità cristiana a farsi interprete e protagonista delle opere di carità; dall'altro, si rende necessaria un'azione comune dei cristiani, oltre quella individuale, chiamati a diventare "cinghia di trasmissione" tra quanto ascoltano e celebrano e quanto amano in un mondo che, forse, sta conoscendo la più bassa soglia di solidarietà. Tratto da: Italia Caritas, giugno 2008 |