Cosa vorrebbe essere la caritas
parrocchiale di Toritto ?
“...Il Samaritano dell’ora
giusta. (1)
Si accusa la parrocchia, la
chiesa, di essere addormentatrice delle coscienze con il suo assistenzialismo,
con la sua funzione di “ ambulanza della storia “, che passa accanto ai
diseredati per raccoglierli e metterli nel carretto di seconda serie:
assistenzialismo fatto di pacchi, parole, bolletta di luce, gas, abiti.
La chiesa viene accusata come se
fosse la ritardatrice della promozione dei poveri con la sua carità.
Ebbene, noi diciamo che oggi c’è
posto per le opere di misericordia corporale e spirituale. Non è finito il
tempo delle opere di misericordia! Del dar da bere agli assetati! Questa è la
kenosis (svuotamento di senso) della carità, l’abbassamento della carità.
Aiutare il fratello significa
anche prestargli le cure del pronto soccorso, tamponare l’emorragia quando c’è
il rischio che muoia dissanguato, anziché pensare di sottoporlo a lunghe
procedure diagnostiche e ricostruirgli sempre, eternamente, l’anamnesi dei suoi
mali. Dobbiamo sì andare alla causa dei mali, ma intanto tamponare e fasciare
le ferite, se il povero sta perdendo sangue.
Quindi non è finito il tempo
delle opere di misericordia corporali e spirituali: c’è ancora spazio!
Diciamolo anche ai saccenti di
turno che circondano le nostre sacrestie. Come afferma la parabola del buon
samaritano : gli fasciò le ferite.
Occorre, però, chiarire un
equivoco. La caritas non è l’organo erogatore di aiuti, distributore di fondi,
promotore di collette da dividere ai poveri. E’, invece, l’organo che aiuta
l’organismo a realizzare una sua funzione vitale : la pratica dell’amore. E’
l’occhio che fa vedere i poveri, antichi e nuovi. E’ l’udito che fa ascoltare
il pianto di chi soffre e amplifica la voce di Dio che provoca al soccorso.
La caritas, perciò, non è tanto
una struttura assistenziale impegnata a prestare dei servizi ai poveri, ma è lo
strumento abilitato a far conoscere a tutta la comunità le situazioni di
sofferenza e di bisogno, a stimolarla all’impegno generoso e, soprattutto, a
far diventare le sofferenze di alcuni problema per tutti.
Fra i suoi compiti c’è
sicuramente l’animazione della carità, l’educazione alla giustizia, la
promozione ed il coordinamento del volontariato, scelta di campo a favore del
povero.
Scegliere i poveri, perciò, non
significa organizzare
l’assistenzialismo, moltiplicare i pacchi dono, allestire soccorsi d’emergenza,
tamponare le falle delle miseria con i mantelli della beneficenza, coprire con
le toppe della carità gli strappi della giustizia.
Ci vuole anche questo,
intendiamoci. Anzi, verso certi sapienti in vena di sentenze, i quali dicono
che a chi chiede un pesce gli devi dare la canna per pescare e non un pesce
bello e fritto, dobbiamo ricordare che non tutti sono in grado di reggere la
canna.
Ecco allora che dovrebbe scattare
un impegno grosso da parte della nostra comunità : quello della
coscientizzazione dei più poveri, dell’accoglienza, dell’amorosa cintura
d’assedio.
Stiamo assistendo impotenti ad un
riflusso di antiche povertà, che si vanno radicalizzando in modo preoccupante
perfino nelle fasce della prima fanciullezza : fuga dalla scuola dell’obbligo,
evasione dal catechismo, infittirsi di furti, moltiplicarsi di violenze
gratuite, spaccio preadolescenziale, forse prostituzione.
Sono segni di una necrosi sociale
che trova nei più piccoli le valvole più deboli.
Ecco qui il discernimento,
l’intelligenza tattica della nostra comunità cristiana, che non è chiamata ad
allestire mense, ma ad aggiungere posti alle nostre tavole, “.. ad adottare un
povero o la sua famiglia.
La nostra vita sia una voce di
speranza per i più poveri tra noi.
Buon Natale !!!
Don Tonino Bello
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