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Caritas
gen
24
2012
Scritto da Gruppo Caritas
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martedì 24 gennaio 2012 |
una
traccia per il cammino della Caritas parrocchiale 2011/12
Crisi
di valori, crisi economica, complessità, intolleranza, disastri ambientali
......... se la pastorale della carità è offrire risposte di salvezza ai
bisogni che emergono qui ed ora, è chiaro che variando continuamente la
domanda, dovrà continuamente variare anche la risposta.
Questo
è lo scenario da comprendere e "partire dagli ultimi" non è uno slogan
pubblicitario, ma una condizione dell'umanità di cui una chiesa povera,
semplice, mite, fa parte e ne sperimenta il travaglio dell'abbandono e
dell'insicurezza, che lava i piedi al mondo senza chiedergli nulla in cambio
(neppure il prezzo di credere in Dio o il pedaggio di andare a messa).
Accoglienza,
scambio, integrazione, diversità, sono i termini che devono caratterizzare
sempre più i nostri linguaggi. Egemonia, intolleranza, pregiudizio devono
diventare vocaboli di un dizionario da archiviare.
Occorre
spalancare la porta del futuro progettando insieme, osando insieme,
sacrificandosi insieme: la compassione del cuore deve diventare anche
compassione dell'intelligenza. E perché non venga meno la riserva della
speranza occorre essere assidui e concordi nella preghiera per incontrarsi nelle
scelte operative e, come dice San Paolo "rimanendo unanimi e concordi non
facendo nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tanta umiltà,
consideri gli altri superiori a se stesso".
A
questo punto l'icona evangelica più limpida dell'uomo e della donna impegnati
nella carità, che snodano la loro vita tra i due riferimenti essenziali del
cielo e della terra, è quella del buon Samaritano, l'uomo capace di
misericordia, di prossimità, di compassione: l'umanità che si fa prossimo nell'ora
giusta e nell'ora del dopo.
Ciascuno
di noi è chiamato a farsi samaritano. A mettersi in viaggio alla ricerca del
bene comune. A stare accanto alle persone rispettandone i volti. A saper vedere chi è fuori dalle nostre case. A saper
riconoscere che abbiamo bisogno dell'altro per superare la nostra povertà. A
riscoprire che con il battesimo siamo chiamati a farci profeti di carità
collaborando con tutte le realtà, istituzionali e sociali, presenti e impegnati sul territorio per
concorre alla definizione di scelte orientate a superare le situazioni di
malessere.
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nov
09
2011
Scritto da Mino Bellini
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mercoledì 09 novembre 2011 |
Chi ha
poca carità vede pochi poveri, chi ha molta carità vede molti poveri;
chi non
ha nessuna carità non vede nessuno.
(Don Primo Mazzolari)
Paolo
VI, che ha voluto la Caritas come organismo parrocchiale diceva:
«Una crescita del popolo di Dio, nello spirito del Concilio Vaticano II,
non è concepibile senza una maggior presa di coscienza da parte di tutta la
comunità cristiana delle proprie responsabilità nei confronti dei bisogni dei
suoi membri».
La caritas voluta da Paolo VI
ha questo "ministero" nella chiesa: educare la comunità a diventare
responsabile dei bisogni dei fratelli.
Responsabile
significa capace di una prossimità, qui e adesso, che eviti l'incancrenirsi del
bisogno in esclusione, in emarginazione, in povertà, ma significa anche capace
di stabilire una relazione che faccia sentire "l'altro" non solo una mancanza,
una patologia, un diverso, ma "un fratello amato per nome".
E questo richiede
competenza: non basta il cuore per una prossimità-sacramento. E la competenza
va educata, formata, preparata. La parola è "pedagogia", ossia la disponibilità
nel farsi prossimo, attraverso un percorso educativo, capace prima di tutto di
fare del servizio una scuola di incontro e di relazione autentica.
In tal senso diventa una pedagogia, un percorso che educa
prima di tutto noi stessi ad essere più autentici e più trasparenti rispetto al
senso del nostro rispondere, rispetto al perché siamo lì a metterci in gioco
mossi dal voler rispondere alla solita domanda: "Dov'è tuo fratello ?".
Una
pedagogia che non è compiuta se non è capace di innestare questo percorso
dentro la comunità cristiana, se non è capace di coinvolgerla e provocarla
affinché il suo agire pastorale non sia solo un parlare, un dire concetti
religiosi, ma diventi sacramento, grembo fecondo, idoneo a generare l'incontro
con il Dio-amore, il Dio di Gesù Cristo. Il Dio - responsabile che ama per nome
e che rispondendo sceglie di "giocarsi" facendosi servo di ogni creatura
umana.
Quindi
si capisce la Caritas da quello che fa, da quello che è, da che senso ha la sua
presenza. Per
tentare una risposta, che ci vede comunque inadeguati, occorre quantificare il
"quello che fai".
Ecco
il senso dei numeri che saranno dati. Essi sono solo l'indice, la sagoma di un
percorso che può cominciare a prender forma anzitutto nella misura della
formazione e delle persone coinvolte nel farsi prossimità.
É
doveroso, perciò, dopo un certo cammino, soffermarsi a considerare noi come
siamo messi e quali problemi hanno ostacolato la realizzazione concreta
delle opere di carità che sono il segno visibile di quanto, le parole di
Cristo, si siano fatte vita quotidiana, modo di essere dei cristiani di
Toritto.
Da
dove partire per l'analisi?
È utile
rileggere stralci della relazione programmatica presentata nell'ultimo
Consiglio pastorale all'inizio della sua attività.
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mar
24
2011
Scritto da Angela Fariello
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giovedì 24 marzo 2011 |
Sottoscrizione per i colpiti
La Caritas giapponese è in prima linea per aiutare la popolazione colpita.
Ad aiutarla anche la Caritas italiana che ha messo a disposizione un primo contributo di centomila euro.
Per sostenere gli interventi in corso si possono inviare offerte a:
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dic
11
2010
Scritto da giuseppe macchia
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sabato 11 dicembre 2010 |
Non obbedirei al mio dovere di
Vescovo, se vi dicessi “ Buon Natale“ senza darvi disturbo.
Io, invece, vi voglio
infastidire.
Non posso, infatti, sopportare
l’idea di rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla “ routine“ di
calendario. Mi lusinga, addirittura, l’ipotesi che qualcuno li respinga al
mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora!
Gesù che nasce per amore vi dia
la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda la
forza di inventarvi un’esistenza carica di donazione, di preghiera, di
silenzio, di coraggio.
Il Bambino che dorme sulla paglia
vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un
macigno, finchè non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, ad un rumeno, ad un
povero di passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia
sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa idolo della vostra vita;
il sorpasso, progetto dei vostri giorni ; la schiena del prossimo, strumento
delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello
sterco degli animali la culla ove deporre con tenerezza il frutto del suo
grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di
tutte le nenie natalizie, finchè la vostra coscienza ipocrita accetterà che lo
sterco degli uomini o il bidone della spazzatura o l’inceneritore di una
clinica diventino una tomba senza croce di una vita soppressa.
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dic
11
2010
Scritto da Giuseppe Macchia
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sabato 11 dicembre 2010 |
Cosa vorrebbe essere la caritas
parrocchiale di Toritto ?
“...Il Samaritano dell’ora
giusta. (1)
Si accusa la parrocchia, la
chiesa, di essere addormentatrice delle coscienze con il suo assistenzialismo,
con la sua funzione di “ ambulanza della storia “, che passa accanto ai
diseredati per raccoglierli e metterli nel carretto di seconda serie:
assistenzialismo fatto di pacchi, parole, bolletta di luce, gas, abiti.
La chiesa viene accusata come se
fosse la ritardatrice della promozione dei poveri con la sua carità.
Ebbene, noi diciamo che oggi c’è
posto per le opere di misericordia corporale e spirituale. Non è finito il
tempo delle opere di misericordia! Del dar da bere agli assetati! Questa è la
kenosis (svuotamento di senso) della carità, l’abbassamento della carità.
Aiutare il fratello significa
anche prestargli le cure del pronto soccorso, tamponare l’emorragia quando c’è
il rischio che muoia dissanguato, anziché pensare di sottoporlo a lunghe
procedure diagnostiche e ricostruirgli sempre, eternamente, l’anamnesi dei suoi
mali. Dobbiamo sì andare alla causa dei mali, ma intanto tamponare e fasciare
le ferite, se il povero sta perdendo sangue.
Quindi non è finito il tempo
delle opere di misericordia corporali e spirituali: c’è ancora spazio!
Diciamolo anche ai saccenti di
turno che circondano le nostre sacrestie. Come afferma la parabola del buon
samaritano : gli fasciò le ferite.
Occorre, però, chiarire un
equivoco. La caritas non è l’organo erogatore di aiuti, distributore di fondi,
promotore di collette da dividere ai poveri. E’, invece, l’organo che aiuta
l’organismo a realizzare una sua funzione vitale : la pratica dell’amore. E’
l’occhio che fa vedere i poveri, antichi e nuovi. E’ l’udito che fa ascoltare
il pianto di chi soffre e amplifica la voce di Dio che provoca al soccorso.
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